Nel tentativo di informare e sensibilizzare i nostri interlocutori alla terribile condizione cui sono condannati miliardi di animali, molti sono i testi che enunciano teorie socio/culturali/filosofiche sulla loro liberazione, tutte con motivazioni altamente condivisibili.
Informare e sensibilizzare: cosa è successo alla nostra sensibilità
Ma, a mio avviso, per rendere incisive le nostre argomentazioni è opportuno chiederci che cosa spinge, o ha spinto, ognuno di noi a interessarci del problema.
Un problema che sicuramente è scaturito dalla conoscenza di questa realtà che ha sconvolto la nostra sensibilità, il nostro senso di giustizia, la nostra coscienza generando in noi la volontà non solo di dissociarci da questo stato di perdurante tirannia ma di lottare affinché possa essere superata questa cultura di ingiustizia verso un universo dolorante che chiede giustizia.
Ebbene, se ogni nostro proposito ha realmente lo scopo di salvare gli animali dalla sofferenza e dalla morte violenta, informare e sensibilizzare sulla condizione degli animali nei loro allevamenti intensivi, nella macellazione, nella sperimentazione, nella caccia, nella pesca e in tutte le attività umane in cui si sfruttano e utilizzano gli animali, è la nostra parola d’ordine, perché la conoscenza dei fatti e la sensibilità del cuore sono condizione imprescindibile come strategia per raggiungere lo scopo.
Rispettare gli animali perché in grado di soffrire, di provare sentimenti e paura della morte?
Rispettarli per il valore intrinseco della vita di cui ogni individuo vivente è portatore? Rispettarli per adempiere al principio di non fare ad altri ciò che non si vorrebbe per se stessi? Rispettarli e tutelarli perché porterebbe benefici morali e spirituali, economici, ambientali anche a noi umani?
L’animale va rispettato semplicemente perché è giusto farlo, perché è un imperativo morale, perché è un dovere per una società che si considera civile, perché questa è la condizione affinché l’umanità si liberi della nefasta concezione del debole sacrificato a vantaggio del forte, con i tremendi effetti consequenziali anche sulla dimensione umana.
Ritengo altrettanto opportuno evidenziare, nei dibattiti, che mangiare animali significa sostenere la cultura della violenza e della morte, dell’indifferenza verso la sofferenza inflitta ad un essere innocente per il piacere del proprio stomaco, mentre noi ci poniamo in difesa di chi non può difendersi e parliamo di rispetto e amore per la vita.
Chiediamo all’interlocutore se fosse capace di uccidere con le proprie mani un agnello, un vitello o un cavallo e così dimostrare coerenza senza delegare ad altri il compito del boia.
E in caso affermativo diciamo con Pitagora “Coloro che uccidono gli animali sono meno sensibili e più inclini ad uccidere l’uomo”.
Diversamente si dimostra che è un’azione riprovevole e che nessuno e niente ci costringe ad essere crudeli.