L’inquinamento umano non risparmia neppure i più profondi abissi.
Alti livelli di policlorobifenili (PCB) sono stati documentati nella Fossa delle Marianne, a oltre 10 chilometri di profondità. Tracce dello stesso composto sono state trovate anche nella Fossa di Kermadec, un’altra delle più profonde fosse oceaniche situata 1.500 chilometri a nord della Nuova Zelanda.
Il PCB è stato assorbito dalle creature marine attraverso l’ingerimento di rifiuti plastici scaricati in mare. In particolare, si è notato che grosse concentrazioni di policlorobifenili sono presenti nei gammaridi, un sottordine di crostacei anfipodi.
«Si pensa spesso alle fosse oceaniche come a zone cupe e desolate – ha spiegato il professor Alan Jamieson, che ha condotto lo studio –. In realtà questi sono habitat che vantano una significativa presenza di biodiversità endemica. La concentrazione di PCB trovata in questi piccoli crostacei è estremamente elevata e questa situazione deve mettere in guardia».
Il PCB è stato un composto largamente diffuso a partire dagli anni ’30 del secolo scorso, trovando un’ampia gamma di applicazioni. Solo dal 1970 l’impiego del composto è stato via via sostituto, anche a causa del suo controverso grado di tossicità. Tuttavia, si stima che siano state prodotte almeno 1,3 milioni di tonnellate di PCB.
Ma come sono finiti i composti chimici sui fondali oceanici? Secondo i ricercatori la colpa è da imputare all’inquinamento marino: la plastica contaminata smaltita in maniera inadeguata viene ingerita dalla fauna marina. Risalendo la catena alimentare, i composti tossici possono contaminare anche le varietà di pescato che abitualmente vengono consumate.
Fonte: rivistanatura.com