L’espressione architettura sostenibile dilaga nel mondo dell’edilizia ma stenta ad affermarsi. Ecco cosa significa e come riconoscerla.
L’architettura sostenibile e le tematiche ambientali sono entrate a pieno diritto nell’agenda delle imprese, delle comunità locali ed internazionali. E le persone non possono più farne a meno. La parola “sostenibilità” e l’etichetta “architettura sostenibile” dilagano tra architetti e designer fondamentalmente per due ragioni: funzionali e formali. Ogni oggetto che sia sostenibile deve far trapelare consapevolezza ecologica, quindi attraverso la propria immagine; la sua funzionalità si relaziona al suo rapporto nei confronti dell’ambiente.
Definire l’architettura sostenibile: i principi
L’architettura sostenibile progetta e costruisce edifici per limitare l’impatto ambientale, ponendosi come finalità progettuali l’efficienza energetica, il miglioramento della salute, del comfort e della qualità della fruizione degli abitanti, raggiungibili mediante l’integrazione nell’edificio di strutture e tecnologie appropriate. Fare architettura sostenibile significa saper costruire e gestire un’edilizia in grado di soddisfare al meglio i bisogni e le richieste dei committenti, tenendo conto già dalla fase embrionale del progetto i ritmi e le risorse naturali, senza arrecare danno o disagio agli altri e all’ambiente, cercando di inserirsi armoniosamente nel contesto, pensando quindi anche ad un riuso totale dello spazio e dei materiali.
Progetti e esempi di architettura sostenibile
Progettare un’architettura sostenibile significa considerare elementi fondamentali del processo di progettazione tra cui l’orientamento, il soleggiamento e l’ombreggiamento prodotto dalle preesistenze, i fattori di ventilazione naturale, ma anche l’adozione di sistemi alimentati da biomasse, sistemi domotici di gestione, sistemi di sfruttamento e gestione dell’energia rinnovabile, tutto ciò realizzato e integrato con materiali studiati appositamente per interagire con l’ambiente e con le sue caratteristiche peculiari.
L’approccio al progetto per un’architettura che si possa definire biologica (o più semplicemente bio-architettura) è globale: oltre alle tematiche tecniche è compreso l’aspetto ambientale così come quello sociale e psico-sensoriale.
La sostenibilità, in quanto paradosso dell’artificio, pone questioni nuove: la democrazia nei confronti del pianeta è un’esigenza che porta diritta alla questione ambientale. […] L’essere umano consuma il capitale della terra più rapidamente della capacità della natura di rigenerarsi. Una casa sostenibile non erode la bio-capacità del pianeta, ma si armonizza con esso, che così è in grado di “sostenerla (Enzo Calabrese)
Sostenibilità in architettura non è sinonimo solo di risparmio energetico o di riduzione dei consumi. L’architettura sostenibile non si può scomporre perché riguarda un incrocio fondamentale ed intrinseco di fattori che toccano la nostra esistenza sul pianeta nella sua pienezza e integrità. La carta vincente di un progetto architettonico o urbanistico non sta solo nelle scelte che lo rendono ecologico, ma anche in ciò che definisce i comportamenti che gli abitanti dell’edificio o del quartiere devono seguire per vivere quindi riducendo al minimo gli sprechi e i consumi energetici non solo all’interno del quartiere, ma in tutta la città.
Strategie per l’architettura sostenibile
La sostenibilità del progetto è un’esigenza più che una caratteristica e lo è sempre stata fin dai tempi delle piramidi egizie. Pietre miliari odierne dell’architettura sostenibile di successo, che ne incarnano a pieno i principi, si trovano sempre più spesso nei paesi in via di sviluppo, dove a farla da patrona sono i materiali e la forza lavoro locali e la comunità. La Makoko Floating School di Nlè Architects incarna un approccio progettuale decisamente innovativo dove la comunità e i relativi problemi causati dai cambiamenti climatici sono al centro del progetto. Lo studio di progettazione ha pienamente carpito i limiti e le qualità del territorio, nonché le abitudini culturali della popolazione in un progetto culminato in uno spazio scolastico emerso da materiali di riuso. Sulla stessa lunghezza d’onda troviamo la biblioteca di Gando, in Mali, dell’architetto Diebedo Francis Kerè e la Green School a Balidi PT Pure Bamboo.
Architetture di questo genere sono fortunatamente sempre più diffuse, ma rimangono ad oggi una piccolissima percentuale sul totale del costruito. Il problema formale la fa da padrone, l’immagine detta la legge. Ma l’immagine “sostenibile” rischia così di essere banalizzata e di tradursi in una casetta di legno dalla forma vagamente rassicurante e quindi, per un luogo comune, ecologica. L’immagine dunque rischia di essere più importante della sostanza? Spesso si etichetta come “green” un edificio che lo è solo di facciata. Il semplice uso dei pannelli solari non rende un edificio sostenibile; lo rende più sostenibile dal punto di vista energetico, ma la sostenibilità si considera nel complesso delle sue parti che coinvolgono processi sia sociali che economici. L’abitudine a definire come sostenibili edifici che non lo sono è diventato un fenomeno talmente diffuso che esiste un termine specifico per identificarlo: greenwashing.
A livello mondiale abbiamo tanti esempi di greenwashing; alcuni tra i più eclatanti sono Tishman Speyer’s Hudson Yards, a New York, e il Wilshire Project, a Los Angeles.
I materiali da usare nell’architettura sostenibile
Uno degli obiettivi principali di chi si cimenta nel campo dell’architettura sostenibile è quello di riciclare per intero o quasi i prodotti dell’architettura. Si dovrebbero costruire edifici scomponibili con elementi e materiali che possano essere facilmente recuperati, riutilizzati e smaltiti senza provocare ulteriori inquinamenti con un riciclaggio integrale o globale. Elementi moderni composti da strati diversi di materiali chimici incollati insieme pongono il serio problema della separazione prima del riciclo. La stessa demolizione del cemento armato richiede un immenso dispendio di energia. Progettare quindiedifici scomponibili e adattabili a nuovi usi diventa oggi una prerogativa che però ancora in pochi adottano.
Come afferma Kenneth Frampton in un dialogo con Enzo Calabrese, riportato dall’autore nel libro Sustain what’s, l’adozione di nuovi materiali ci ha in qualche modo riportati indietro:
Tutta la cultura costruttiva preindustriale , determinata da condizioni di relativa scarsità delle risorse, fu sostenibile per definizione, perchè largamente basata su risorse rinnovabili e/o durevoli a bassa energia incorporata come legno, mattoni e pietra. Ma un architettura basata solo su questi materiali avrebbe necessariamente a disposizione una gamma di espressività piuttosto limitata
Quello che molti architetti non riescono ancora a concepire nel progetto dell’architettura sostenibile è che i materiali possono avere una vita e una funzione differente e magari anche migliore da quella per cui erano stati concepiti. Occorre prendere in considerazione l’aspetto del riuso e del riciclaggio dei materiali già al momento della progettazione di un edificio ex novo e, nel caso di demolizioni, elaborare un concetto di recupero che garantisce e faciliti il riuso e il riciclaggio di vari elementi. L’architetto giapponese Shigeru Ban è già da anni impegnato in questa ricerca e a diffondere questa pratica, anche nel campo del sociale, puntando sullo studio e sulla realizzazione di edifici in tubi di cartone.
Ma anche i progetti di Earthships Biotecture sono un emblema dell’architettura che è radicalmente sostenibile, senza rinunciare alla ricercatezza della forma. Le earthship sono una tipologia di case solari passive, con sistemi di riscaldamento e raffrescamento a energia zero, totalmente indipendenti dagli allacciamenti municipali. Sono realizzate con materiali più svariati come terra, argilla, paglia, legno e soprattutto pneumatici riempiti di terra per i muri portanti e bottiglie o lattine per i muri non portanti. Hanno un ridotta impronta ambientale con caratteristiche migliori delle normali abitazioni.
Altri esempi di successo di architetture sostenibili locate in città europee sono ad esempio il The Edge ad Amsterdam, il premiato Bosco Verticale a Milano e Eden Project in Cornwall, Regno Unito.
L’architettura sostenibile è quindi un approccio culturale più che un ramo dell’architettura tradizionale, che spinge il progettista a progettare e costruire riducendo al minimo l’impatto delle costruzioni sulla salute dell’uomo e sull’ambiente attraverso un limitato consumo di risorse non rinnovabili e l’utilizzo di materiali non nocivi al fine di salvaguardare il rapporto uomo-edificio-ambiente.
Quello che deve ancora realmente accadere è una rifondazione dei caratteri dell’architettura per rispondere ai problemi ambientali impossibili da ignorare. Purtroppo l’architettura non ha risposte immediate e rispecchia pienamente la complessità della trasformazione dei processi di assorbimento culturale, che richiedono tempo e convinzione per assorbire i nuovi approcci, come la sostenibilità del ciclo del progetto al 100 per cento, per un’architettura senza effetti collaterali negativi per la vita degli esseri viventi e del pianeta.
fonte: lifegate.it