Questo weekend, a parte del buon tempo passato in famiglia, ho dedicato un paio di ore alla visione di The True Cost e…sono state le ore in un qualche modo ludiche meglio spese da…non saprei dire da quanto!
Mi ero ripromessa di guardarlo ma poi sono passati inesorabilmente i mesi; è stato solo qualche settimana fa che mi sono finalmente decisa a comprarlo su iTunes e, complice il recente weekend lungo, non ho potuto più esimermi dal guardarlo.
The True Cost : cos’è?
The True Cost è un film documentario, diretto dall’americano Andrew Morgan e co-prodotto da Livia Firth, interamente incentrato sul mondo nascosto della produzione dei vestiti delle grandi multinazionali del fast fashion e sul suo impatto a livello etico, ambientale e sociale di fatto sconosciuto ai più (me inclusa) nella sua vera estensione.
La decisione di girare The True Cost da parte di Morgan risale alla sua lettura di un articolo, “del New York Times, il giorno dopo la tragedia di Rana Plaza.” Anche prima di allora Morgan avrebbe voluto dirigere un film su questo tipo di soggetto ma il tema sembrava troppo vasto e troppo astratto, decisiva è stata una foto contenuta in quell’articolo con “due bambini, dell’età dei miei figli, in piedi davanti a un muro di volantini di persone scomparse”.
Si tratta di un film documentario (di circa 1 ora e mezzo) dal taglio molto giornalistico, in cui le interviste con giornalisti che scrivono di giustizia sociale, economisti, psicologi che studiano l’effetto del consumismo sugli esseri umani sono intervallate dalle storie reali di donne che lavorano nel settore tessile, da stralci di immagini del dopo crollo dell’edificio di Rana Plaza in Bangladesh e delle sommosse degli operai tessili in Cambogia.
La trama di The True Cost
The True Cost parte da una semplice riflessione: mentre un tempo il sistema moda partiva dalle sfilate ed era basato sulle stagioni (primavera/estate, autunno/inverno) l’industria della moda di oggi non ha più nulla a che fare con questo: da 2 stagioni l’anno siamo praticamente passati a 52 stagioni, con nuovi modelli di capi di abbigliamento che escono ogni settimana.
Se confrontiamo il prezzo dei capi di abbigliamento con quello di 20 anni fa è evidente che c’è stata una deflazione progressiva che è andata di pari passo con l’esternalizzazione della produzione del tessile verso paesi a basso costo di manodopera (basti pensare che mentre fino agli anni ’60 l’America produceva il 95% dei suoi vestiti oggi ne produce solo il 3%)…è nato così il Fast Fashion che non è altro che l’attuale sistema moda che immette sul mercato prodotti abbastanza economici da non sentirci in colpa nel buttarli eventualmente via.
Tutto questo però ha un prezzo che qualcun altro sta pagando.
The True Cost : il prezzo umano della moda
Il documentario fa chiaramente capire come nella gara al ribasso fatta continuamente dalle multinazionali del Fast Fashion, le aziende che producono i capi di abbigliamento sono costrette a tagliare i costi e quindi a risparmiare su tutto, dai salari alle misure di sicurezza (ed il noto disastro di Dhaka in Bangladesh è il più grande mai accaduto ma purtroppo non l’unico).
Nei paesi in cui si concentra la produzione tessile – Bangladesh e Cambogia – basso salario (sotto il limite della sussistenza eh, non proporzionato al locale tenore di vita), lavoro non sicuro e incidenti in fabbrica vengono di fatto accettati dalle istituzioni locali perché creano posti di lavoro necessari .
Le donne che lavorano nelle aziende situate in grandi città come Dhaka sono costrette a lasciare i propri figli ai parenti nei villaggi fuori città perché vengano cresciuti in condizioni di vita umane e possano avere accesso all’istruzione; se i lavoratori creano sindacati e avanzano richieste vengono picchiati (a volte a morte), se organizzano scioperi per richiedere un salario minimo le rivolte vengono sedate con le armi (accaduto in Camboglia).
The fashion revolution
La cosa sconvolgente è che dal momento che le grandi multinazionali non assumono direttamente i lavoratori né posseggono le fabbriche in cui vengono prodotti i loro vestiti di fatto riescono a generare grandi profitti per se stesse senza avere alcuna responsabilità diretta in tutto ciò; se consideriamo il fatto che 1 persona su 6 nel mondo lavora nel mondo del tessile rendendo questo settore il più dipendente dal lavoro umano del mondo la cosa assume una rilevanza ancora maggiore.
Ma non finisce qui: al crescere del nostro desiderio di capi di abbigliamento uomo, donna, bambino a basso prezzo, anche il cotone e l’industria del cotone stessa sono state riprogettate per tenere il passo. Monsanto ha brevettato una tipologia di cotone geneticamente modificato che promette una più alta produttività grazie alla resistenza ai parassiti ma che nonostante questo richiede elevati quantitativi di pesticidi.
Le ricadute sulle aree di coltivazione sono drammatiche: in India, regione Punjab che è quella in cui avviene la maggior parte delle coltivazioni, la crescita dei malati di cancro e dei bambini con ritardo mentale ed handicap fisici è evidente; come se non bastasse molti contadini arrivano ad un grado di indebitamento per acquistare sementi e pesticidi tale da decidere alla fine di suicidarsi con il pesticida stesso (parliamo di 250.000 suicidi negli ultimi 16 anni, la più grande ondata di suicidi nella storia).
Vogliamo parlare anche dei consumatori? Studi psicologici dimostrano che tanto più le persone danno valore e importanza ad oggetti materialistici, immagine, status quanto meno sono felici, più depressi e ansiosi, tutto il contrario di quello che ci racconta il marketing che punta a convincerci che consumando un certo bene i nostri bisogni saranno soddisfatti.
The True Cost : il prezzo ambientale della moda
La moda è la seconda industria più inquinante al mondo, seconda solo a quella del petrolio e consuma un ingente mole di risorse che non viene nemmeno misurata (acqua, cotone, energia elettrica sostanze chimiche).
Le coltivazioni intensive di cotone ad esempio fanno ampio uso di pesticidi che non vengono spruzzati spot nelle aree che ne necessitano ma gettati a tappeto sui campi tramite aerei per poi andare a riversarsi nelle acque utilizzate dai contadini che gestiscono i campi.
Anche la produzione di cuoio a basso prezzo, che avviene a Kanpur, non è da meno: i prodotti chimici pesanti (come il cromo 6) usati per trattarlo inquinano il fiume Gange e finiscono nell’acqua ad uso irriguo e potabile causando nelle persone che abitano nella zona problemi alla pelle e di itterizia.
Ulteriore danni ambientali derivano dal fine vita dei nostri capi di abbigliamento: negli ultimi 10 anni sono cresciuti notevolmente i rifiuti (l’americano medio getta più di 37kg di tessili l’anno) la maggior parte dei quali non è biodegradabile cioè rimane nelle discariche per 200 anni o più rilasciando nell’aria gas dannosi.
Cosa ho imparato da The True Cost?
La visione di The True Cost mi ha aperto gli occhi su una miriade di argomenti primo fra tutti il fatto che dietro ai vestiti che indosso tutti i giorni ci sono tante mani e tanti cuori e che questo non può e non deve essere dimenticato.
Mi ha fatto notare una verità che non so come non mi era mai balzata gli occhi così chiaramente ovvero che la “fast fashion” ed analogamente anche il fast food sono “la consolazione per non poterci permettere di comprare una casa, l’educazione per i nostri figli, o una polizza di assicurazione sulla vita, cose che invece necessitiamo.” Il Fast Fashion inganna tutti noi consumatori perchè ci fa credere di essere ricchi permettendoci di poter comprare tante cose e ci consola facendoci per un attimo dimenticare che invece tutto ciò di cui abbiamo davvero bisogno (casa, educazione etc…) diventano giorno dopo giorno più lontane dalle nostre possibilità.
Mi ha fatto riflettere sul fatto che è profondamente sbagliato pensare alla moda come un prodotto usa e getta quando invece i capi di abbigliamento dovrebbero essere prodotti da usare per lungo tempo e non da consumare e gettare perchè “tanto sono costati poco”.
Mi ha fatto capire che non è corretto pensare che le mie scelte da sole non sono in grado di influenzare il sistema perchè ogni volta che apro il mio portafoglio affermo il mio potere d’acquisto e sta solo a me scegliere se utilizzare i miei soldi per aiutare un sistema nocivo per il pianeta e per la salute e la libertà delle persone oppure se contribuire ad un mondo migliore. Come? Basta partire dalle piccole cose, dalle scelte quotidiane e magari – come suggerisce Livia Firth nel documentario – incominciare ad andare da H&M o Zara non più una volta a settimana ma una al mese: “quello sarebbe il messaggio più forte che potremmo inviare ai rivenditori, rallentate, slow down” altrimenti, “tutte quelle persone, quegli esseri umani che producono i vostri vestiti non saranno mai trattati in modo giusto. Mai.”
Come è possibile vedere The True Cost?
The True Cost mi ha fatto sentire sopraffatta e impotente perchè ha messo davanti ai miei occhi la cruda realtà su cose che non sapevo e nemmeno lontanamente immaginavo e penso che tutti dovrebbero vederlo perchè l’ignoranza è la principale nemica delle scelte consapevoli e perchè se anche voi non riuscirete più a guardare un vestito nello stesso modo di prima e con la stessa leggerezza forse le cose un giorno cambieranno davvero.
The True Cost è disponibile su Netflix e nel negozio iTunes, ne esiste anche una versione in dvd che è acquistabile tramite Amazon; va detto che è in inglese (abbastanza comprensibile a mio parere) ma sono disponibili i sottotitoli in italiano quindi l’ostacolo lingua è facilmente superabile. Se non lo avete già visto ve lo consiglio caldamente!
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Fonte: http://goingnatural.it/the-true-cost-ovvero-il-vero-prezzo-della-moda-economica/