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No alla caccia alle balene.

La caccia alle balene in Giappone era in uso già dal 12° secolo e veniva effettuata con arpioni a mano, successivamente intorno al 17° secolo fu introdotto l’utilizzo di imbarcazioni specifiche, lance e reti, attirando i cetacei verso l’acqua bassa, dove venivano catturati e tagliati per farci olio, sapone, fertilizzante e per diventare cibo, infatti la carne di balena era consumata abitualmente.

La moderna baleniera a motore venne introdotta intorno al 1866 per opera di Juro Oka, che dopo aver viaggiato in tutto il mondo per trovar notizie sulle pratiche della caccia alle balene, soprattutto in Norvegia, fondò dopo un po’ di anni la prima compagnia per la caccia alle balene, la Nihon Enyo Gyogyo KK, dominando il mercato di carne di balena in Giappone, e spingendosi anche in acque coreane.

Con l’inizio del 20° secolo poiché i piccoli pescatori mal sopportavano l’intrusione nelle loro zone di pesca, e poiché alcuni paesi erano preoccupati per l’eccessivo sfruttamento delle balene ci fu una stipulazione della convenzione del 1932 per la regolamentazione della caccia, ignorata da Giappone e Germania.

Negli anni seguenti quando per evitare l’estinzione della balena blu, furono fatte conferenze e accordi internazionali che furono nuovamente ignorati dal Giappone, e fu durante la seconda guerra mondiale che la caccia divenne sempre più massiccia, per le condizioni di miseria che la popolazione era costretta a subire.

Ad oggi il Giappone continua con l’attività della caccia alle balene, poiché gli interessi che si nascondono dietro questa attività sono notevoli, non calcolando la via d’estinzione dei cetacei e l’impatto che la pesca industriale ha sugli ecosistemi marini, mutando notevolmente e mettendo a rischio con l’inquinamento climatico le popolazioni di balene rimaste e di tutte le altre specie di pesci.

Norvegia, Islanda e Giappone, quest’ultimo dichiarando per fini scientifici continuano a cacciare le balene, nonostante ci sia dal 1986 una moratoria sulla caccia commerciale, istituita dalla Commissione Baleniera Internazionale, per poter permettere un ripopolamento dei mari.
Anche se la caccia alle balene è vietata, e un notevole numero di ricercatori internazionali dichiarano che per studiare le balene non occorre ucciderle, il Giappone è il più grande cacciatore di cetacei, che giustifica per scopi scientifici, come abbiamo detto, ma che in realtà fattura un commercio di 4 miliardi di yen all’anno.

Tra le organizzazioni ambientaliste che si occupano di questo problema c’è in prima linea GreenpeaceSea Shepherd Conservation Society, che ogni anno tentano di fermare le operazioni di caccia, allo scopo di limitare quanto più possibile il numero di esemplari uccisi. Ovviamente queste organizzazioni animaliste ritengono che il programma di ricerca sia una vera copertura per la caccia commerciale e che appunto la ricerca può essere effettuata con altri mezzi e non con l’uccisone, ad esempio studiano campioni di tessuto delle balene.

La battaglia non finisce qui.

di Antonella Tomassini

 

 

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